martedì 6 novembre 2012


MELANIA E IL GIOCO DELLE MAREE

 

25 Marzo 2005, costa indiana di Zanzibar, villaggio di pescatori, ore 9 del mattino.

Credo che Melania non avesse mai visto da vicino il fenomeno delle maree. Di certo non lo sospettava. Di fronte ai suoi occhi, e ai miei, si stendeva una distesa abbagliante. Qualche chilometro di sabbia e coralli e un mare lontano come una striscia cobalto stesa sotto l’orizzonte.

-Ma il mare dov’è, perché ci siamo fermati qui?

-Cara signora, il mare si è ritirato durante la notte.

-Durante la notte, ma che assurdità è questa!

-Creda a me. Anche se sono più italiano di lei dirigo i villaggi turistici in queste zone da anni. Si chiama marea, è un fenomeno legato alle fasi lunari. Il mare si è ritirato o se preferisce l’isola si è sollevata!

  Dopo aver sentenziato così il Direttore del Karibu, il villaggio vacanza dove ero arrivato con il compito di sorvegliare la salute dei turisti italiani, si nascose dietro la sua aria da sornione dando disposizioni per organizzare la giornata fra le capanne dei pescatori. Ma la donna non rinunciò alle sue proteste.

   Già e adesso a mia figlia Melania chi glielo dice che non può fare il bagno! Ci     mancavano anche le maree adesso. Questa vacanza si è trasformata in un vero bluff!

  Possiamo accompagnarvi con una gip – insistette il Direttore -  i pescatori di queste parti le usano spesso  per raggiungere la barriera corallina. Vedrà con quanta velocità il mare ci verrà incontro fra qualche ora! Se volete fare il bagno, con una gip tutto è più semplice. Loro conoscono la consistenza della sabbia e fin dove possono spingersi.

  Melania era un incanto. Una di quelle bambole dai capelli biondi come la paglia e gli occhi celesti come carta da zucchero. Mi guardò con due gote impertinenti, abbozzò un sorriso e si mise  a correre di qua e di là. La madre ci svelò che aveva compiuto da poco quattro anni e intanto continuava a chiamarla: Melania dove vai? Non ti allontanare! Un bimbo del villaggio locale non la mollava un attimo. Come attratti da una forza invisibile uno al fianco dell’altro sgambettavano liberi senza méta e ridevano; lei bianca quasi latte, lui nero come le more dei boschi.

-Penso sia meglio proteggere Melania con una crema solare, - consigliai alla madre-  e magari con un bel cappellino.

  Non mi rispose; però la vidi rovistare nella borsa e tirar fuori il tubetto della crema. Io feci finta di niente e chiesi al Direttore se c’era nei dintorni qualcosa che assomigliasse ad un ambulatorio dove medicare i turisti in caso di bisogno. Lui si mise a ridere e indicò la mia borsa.

-Caro dottore il suo ambulatorio è tutto lì dentro. Comunque ha ragione, dia qua! Troveremo uno spicchio di ombra per non far cuocere le sue medicine!

  L’ombra cui si riferiva era sotto un grande ombrello di paglia. Ce ne erano diversi nella zona e facevano anche da tetto alle capanne di fango dei pescatori. Poggiai la borsa su una sedia di plastica e prima che si formasse il solito capannello di ragazzi curiosi lui si rivolse a una donna di colore in una lingua che non avevo mai sentito.

-E’ lingua swahili, - spiegò poi quando vide la mia espressione. Ho detto a questa mamma che lei è il dottore, qui ci sono medicine e nessuno deve toccare la borsa. A sud del Kilimangiaro si parla più swahili che inglese.

- Karibu!, mi fece lei mostrando dei denti bianchi come la neve.

- Karibu! Risposi, intuendo fosse una specie di saluto.

  Alcuni turisti si erano incamminati verso il mare. Con gli zaini sulle spalle e i cappelli di paglia proiettavano ombre piccole e timide sulla sabbia come se nessuno si sentisse tanto  entusiasta di raggiungere questo mare turchese che i 'depliant' d’agenzia  avevano promesso. Mi ritrovai di nuovo al fianco il Direttore ansioso di spiegare il fenomeno.

 

Le maree sono una caratteristica di queste zone, sa!, soprattutto dal lato dell’isola che si affaccia sull’oceano indiano. Vede quel barcone arenato in mezzo ai coralli?

-Sembra il relitto della nave di Capitan uncino!, - risposi ironico.

-Beh, all'ora di pranzo la vedrà galleggiare sulle onde. E anche noi ci sposteremo  di qui perché l'acqua raggiungerà  quegli scogli laggiù.     

  Vidi la scogliera e poi fissai ancora la barca. Se ne stava chinata su un fianco arenata in mezzo ai coralli grigi e mostrava il fasciame inaridito dalla salsedine e dal sole.

  Pensai a come sarebbe potuta essere la mia vita lì in quel villaggio se non avessi avuto in tasca il biglietto di ritorno verso la mia Europa. Nelle città italiane le cose sembrano non dover cambiare mai. Un paesaggio alle nostre latitudini è per sempre e qui invece cambia in poche ore. Ti sembra di non possedere nulla qui. Il gioco delle maree spinge le lingue d'acqua veloci, impercettibili; non le vedi ma sono intorno, presto ti raggiungeranno da ogni dove, in silenzio, come se volessero entrare dentro te. Basterà il tempo di fermarsi a ragionare con il barista in un inglese indecente di guerrieri Masai vestiti con i loro mantelli rossi e quando di nuovo guarderai verso il mare, lui ti avrà raggiunto.  

  Chiesi se c'era un presidio ospedaliero nell'isola. Il Direttore sorrise di nuovo ma poi si mise a raccontare le avventure di un medico, un uomo tenace che tutti amavano come un semidio. Appresi che era rimasto fra questa gente a far da missionario, quasi trent’anni. Tutti lo chiamavano ospedale ma in realtà era un ambulatorio senza troppe pretese; una specie di presidio di primo intervento organizzato per aiutare gli abitanti dell’isola. E quando c’era da ricoverare qualcuno in un ospedale vero, lui stesso lo accompagnava fino all’aereo-porto. Stone Town - Mombasa per lo più.  Tornava dopo qualche settimana quando era certo che le cure avevano strappato alla morte il malcapitato. Da qualche tempo però se ne era andato in silenzio, così come era venuto, e non era rimasto niente di ciò che aveva costruito, tranne  il ricordo.

-Lo amano ancora come se dovesse tornare da uno dei suoi viaggi. Non lo dimenticheranno mai! – disse infine indicando le donne e i bambini agli usci delle capanne. Notai un ombra di ammirazione colorargli il viso piegando le rughe intorno alla bocca.  Un’ammirazione difficile da conquistare.

  Un urlo mi riportò al presente. Vidi una turista correre via dall’acqua; aveva bolle da ustione sul polso e lunghe strie rosa affioravano sulla pelle come tatuaggi appena impressi. La feci sedere all’ombra, tirai fuori dalla borsa una crema e la medicai dispensando un po’ di consigli, poi sfidai io le meduse  andando incontro alle lingue di mare. L’acqua mi circondò le caviglie. Era acqua calda come se uscisse da uno scaldabagno. Con occhi attenti perlustrai i metri d’intorno alla ricerca di quelle palle gelatinose e trasparenti piene di tentacoli ma alla fine il desiderio vinse la paura e come un eroe di Salgari  voltai le spalle al pericolo e mi immersi nell’oceano indiano.

  Il pranzo fu ricco di colesterolo. Non ricordo di aver mai ingoiato tanta aragosta dopo quel giorno. Dolce, sugosa, odorosa di mare, incontaminata, innocente, con le chele ancora serrate e la pancia candida coperta da un guscio color rosa carminio come le gote delle fanciulle dipinte dai pittori dell’ottocento napoletano. Tutti ridevano e brindavano e cantavano mentre il mare si avvicinava. La siesta ci sorprese con un ombra morbida, quasi discreta; mi feci cullare dalla brezza fissando il cielo con i piedi inerpicati sulla corda di una amaca sotto due alberi di palma. Sarei potuto rimanere a lungo così; ore, settimane, forse mesi, o magari anni, intorpidito dal vinello bevuto, quasi nascosto in una nuvola di niente ove i doveri si dissolvano strato dopo strato, senza perché.

  Melania mi riportò al presente. La sua scomparsa insieme al fidanzatino di colore  fu come un mare di angoscia che invase tutti. La madre mi guardava stupita, in silenzio. Gli occhi solo urlavano.

Furono controllate le capanne, ad una ad una; alcuni si spinsero a cercarli con la gip su quel che restava della spiaggia verso  sud, per tutto il tratto di bagnasciuga non ancora coperto dall’acqua. Alla fine fu deciso di cercare direttamente in mare. Il Direttore spiegò in swahili ad alcuni pescatori


che bisognava tirare in acqua le barche e perlustrare la zona fino alla barriera corallina prima che il tramonto rendesse ogni  ricerca inutile.

  Somministrai alla madre di Melania un sedativo e vegliai il suo sopore controllando la frequenza del cuore e la pressione. Mentre ero intento ad asciugarle il sudore dalle tempie una  donna osservava in piedi sull’uscio della capanna, immobile. Riconobbi su quel viso l’espressione del piccolo moretto. La raggiunsi, le toccai le mani ma lei si ritrasse; corse verso la sua capanna, prese per le spalle altre due bimbe e un ragazzetto più grandicello e li spinse in casa quasi a proteggerli da me e dalle mie medicine.

  Le barche  sotto vele triangolari galleggiavano a qualche decina di metri dalla scogliera. Il mare aveva ingoiato anche gli ultimi angoli di sabbia rimasti e la luce che era stata così abbagliante al mattino si fece più tenue, seminascosta dietro nuvolaglie velate all’orizzonte.  Quando poi giunse il tramonto un vento lieve portò a riva il suono di tamburi suonati lontano; una specie di nenia che riempì l’aria come fanno i canti propiziatori al calar del sole quando l’ombra si fa padrona ed è più facile percepire il respiro nascosto nelle cose.

  Fu quel canto a ridarmi il profumo dell’infanzia. Ricordi,  impalpabili, in cui l’ansia per Melania mi sembrò quella provata all’uscita di scuola, un giorno di quarant’anni fa, quando la campanella aveva suonato la fine delle lezioni e il bambino che ero con il grembiule azzurro e il fiocco sfatto cercava disperato il quaderno perso fra i banchi, proprio quello con i compiti dettati dalla maestra. Percepii di nuovo l’odore della pioggia d’ottobre mentre tornavo a casa presagendo il rimprovero di mio padre e il sapore secco del gesso dietro la lavagna al mattino seguente. Quando sei escluso, ovunque tu sia e in ogni età, la vita intorno prende a danzare; va e viene come una marea inesorabile mentre tu resisti aggrappato a qualcosa di conosciuto, sempre uguale, acre e insipido come un capriccio. 

  In quel preciso istante, la gola mi si contrasse in un singhiozzo e il vento mi condusse il richiamo di Melania. Un lamento lontano confuso nel suono della risacca. D’istinto guardai la nave di capitan uncino, quella specie di veliero  della fantasia corroso dalla salsedine.

  Poteva essere solo lì con il suo fidanzatino, lì, nel regno dei balocchi, fuori dal mondo degli adulti. Urlai qualcosa al Direttore, poi vidi le barche convergere verso il veliero abbandonato che dondolava sulle onde come un clown aggrappato a una corda. Riportarono a riva i due naufraghi e tutti si congratularono per il mio istinto, tutti si misero a darmi pacche sulle spalle; persino la madre del moretto ora mi osservava con uno sguardo meno severo.

  La madre di Melania mi abbracciò piangendo ma Melania mi sorrise, proprio come aveva fatto al mattino, con le ciglia ancora più lunghe e impertinenti come se  fosse felice di appartenere nuovamente alla marea.

Italia, 06/11/2012 

Enrico Coluccia

 

 

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