lunedì 11 febbraio 2013

Dalla racolta: " Lezioni di Antropologia."

FINALMENTE UN: ‘ELOGIO DELLA GEOMETRIA’

   Raccolgo e propongo queste poche pagine intitolate ‘Elogio della geometria’. Sembrano appunti per una lezione di estetica. Mi hanno colpito e quindi le ho fatte subito mie. Purtroppo il testo è danneggiato proprio lì dove si potrebbe leggere la data e la firma dell’autore. I fogli però sono leggibili; probabilmente usciti da una macchina da scrivere del tipo Olivetti in voga fino agli anni ’70. Ci ho pensato prima di proporle anche senza il nome dell’autore. Poi mi son detto: che importanza ha chi le ha scritte e quando. Alcune intuizioni sono così potenti che appartengono a chiunque le sappia cogliere, indipendentemente da chi le ha formulate per primo.  Ecco dunque il testo:
ELOGIO DELLA GEOMETRIA.
  Egregi signori, non ci sono eccezioni all’antico detto che recita: ‘Mai dire mai’. Credetemi: tutto avrei immaginato di fare fuor che  arrivare a tessere un giorno, qui davanti a tante persone, l’elogio della geometria. Proprio io che mi sono sempre considerato amante dell’arte e della poesia! Riuscite voi a immaginare una qualche relazione fra queste materie e la fredda analisi necessaria per venire a capo di un teorema di Euclide o  una formula di Eulero? E quand’anche ciò fosse possibile, che cioè, pur non essendo dotati di intuito per numeri e diagrammi, si riesca a cogliere la logica di un problema di geometria e a risolverlo, quale uomo di cultura potrebbe mai credere che la geometria sia davvero la madre di tutte le scienze? E’ certamente un' affermazione opinabile, per molti di voi. Al massimo sarete disposti, io credo, a dar merito alla geometria di aver avuto un antico legame con la filosofia, questa sì  madre di tutte le scienze. Il fatto è, signori, che la filosofia di per sé non è una scienza; (Dio mio!, sento mormorii in sala). Beh biasimatemi se volete, ma io la considero così: un enorme contenitore. Ci va dentro tutto il sapere; come una amante (philos in greco significa amare) essa si ciba di qualsiasi cosa la mente abbia sete o fame. E’ così che nell’antica Grecia la filosofia ha vestito i panni della matematica, nell’antica Roma della morale, nel Medio Evo della ‘teologia’, nel ‘400 dell’’anatomia’, della ‘fisica’, dell’’astronomia’, nel ‘700 si è fatta chiamare ‘ragione’, e dal ‘900 in poi la si ritrova ovunque, in estetica, e quindi in architettura, in psicologia e quindi in medicina e poi in politica, economia, e perfino biologia, e arte, letteratura, musica, poesia. Un vestito, per l’appunto. Dentro c’è di tutto e c’è la mente, soprattutto. Il termine ‘sophus’,  sapienza, piace molto alla mente, le dona una patina di nobiltà. La mente è saggia, osserva, analizza, cerca il comune denominatore, vuole la regola o legge che metta ordine nel caos dell’esperienza quotidiana, rivelandoci la chiave con cui è possibile riportare il particolare al generale. Senza la mente che decodifica l’esperienza saremmo degli animali impauriti che non sanno difendersi da ciò che non conoscono.
  Ed allora, se la filosofia è lo studio di ciò che riguarda la psicologia, la biologia, l’estetica, l’economia e via dicendo che senso ha affermare che essa è la madre di tutte le scienze? Essa è tutte le scienze, dato che ogni scienza è amore e acquisizione per un determinato sapere. Una madre, se partorisce dei figli, mantiene comunque la sua identità, non è ‘i figli’.  La geometria invece può essere una madre, perché lascia il segno di sé in ogni ambito e, nonostante ciò, mantiene la propria identità. Vediamo come.
  Intanto faccio due affermazioni: il pensiero umano è vincolato alla percezione visiva e la geometria è la scienza della forma.
  Consideriamo il primo assunto: il pensiero è visivo. Platone chiamava il contenuto di un concetto con il suo vero nome: idea. Il termine greco ‘eidos’, da cui deriva la parola idea, ha un’antica radice verbale ‘eid-‘ con la quale i contemporanei di Platone nel IV secolo avanti Cristo formavano il participio passato del verbo ‘orao’ che significa vedere. ‘Ho visto’, cioè ho una immagine mentale della cosa e posso quindi formarmene un concetto che non ha niente a che fare con il nome che do alla cosa né con l’importanza che essa riveste o con le sue qualità. L’idea ha a che fare con la forma di una cosa. Non è la cosa reale nel mondo oggettivo, che continuerebbe ad esistere anche se non ci fossimo noi a osservarla, ma è la cosa stessa nel suo apparire. Se pensiamo a un oggetto questo avviene perché i nostri occhi lo hanno già visto e quindi la nostra mente lo conserva in sé come forma. La retina percepisce, il cervello ricorda. Dice Platone: le cose muoiono, le idee delle cose sono immortali. Attenzione, però. Le idee non sono barattoli con l’etichetta stipati su una mensola e pronti a essere presi quando è necessario. Una forma immagazzinata nella mente ne richiama altre per associazione e di questo processo continuo, di questo continuo rincorrersi e concatenarsi di idee si nutre il pensiero. La nascita dei grandi teoremi, delle intuizioni più profonde, in qualsiasi ambito scientifico, si avvale sempre della esperienza visiva interna.
  Vedere ci dà il vantaggio di disporre all’istante di uno spazio intorno a noi e lo spazio a sua volta è il medium naturale dentro al quale si muove il pensiero. E’ arduo formarsi un’esperienza del mondo solo usando tatto, olfatto, e udito. Prendete ad esempio un ceco dalla nascita che non ha mai visto oggetti, né persone. Per vivere egli è costretto a ricreare continuamente l’ambiente che lo circonda perché non ne ha percezione e non lo può quindi immaginare. L’unica dimensione che conosce è il tempo e la sua vita è un continuo concentrarsi su sequenze temporali: il numero dei passi, l’intensità dei rumori, i rintocchi di un pendolo.  Le cose, le persone intorno, vanno e vengono, saltano fuori dal nulla e scompaiono nel nulla, non esistendo  in lui l’idea stessa di un ambito che le contenga. In queste condizioni la mente utilizza le proprie risorse più per adattarsi che per creare. L’immediatezza di uno spazio visibile invece giova tantissimo al pensiero creativo. E poiché è immerso nello spazio, il pensiero creativo fa subito una cosa: disegna forme.
  Siamo al secondo assunto che è poi il tanto atteso tema della nostra chiacchierata: la geometria. Essa entra in gioco  perché è la scienza della forma. Più precisamente la geometria studia la forma e la misura degli oggetti nonché le relazioni matematiche esistenti fra questi parametri. Ritengo la geometria indispensabile al processo creativo perché la visualizzazione delle forme e il loro relazionarsi nello spazio danno al pensiero infinite possibilità di sviluppo e al contempo lo vincolano alla coerenza della relazione matematica. Mi si obbietterà: e il linguaggio? Non è forse il linguaggio la più alta modalità di astrazione del pensiero. La risposta è certamente affermativa ma, come mi accingo a dimostrare, ciò non fa che dare valore alla nostra causa. Fu uno psicologo dello sviluppo, (in sostanza un filosofo), di nome Jean Piaget ad affermare che lo sviluppo cognitivo dell’essere umano attraversa tre fasi: quella dell’azione, quella della costruzione di immagini e quella del linguaggio. Quest’ultima è la fase della elaborazione di simboli, appunto il gradino più alto che possa raggiungere la capacità di astrazione del pensiero. Riprendendo l’esempio dei barattoli, per la formazione di un’idea è necessaria l’azione, che sarebbe l’atto percettivo cioè il riempimento del barattolo, poi la rappresentazione mentale di questa percezione che corrisponderebbe alla sistemazione del barattolo sulla mensola, e infine l’ultimo livello di astrazione, simbolica, costituita dal linguaggio cioè dalla applicazione sul barattolo di una etichetta identificativa. Come si vede le tre fasi sono correlate fra loro al punto tale che non ha senso prenderle singolarmente. Il linguaggio ha per contenuto l’idea e l’idea a sua volta non esiste senza un atto percettivo: vedere. La capacità della mente di elaborare simboli, cioè costruire un  linguaggio, aumenta indubbiamente le sue potenzialità, soprattutto nella fase di comunicazione dell’idea, ma non aumenta il livello qualitativo dell’idea stessa.
  Insomma signori, è questo che son venuto a dirvi, non ci è possibile pensare se non in termini visivi. Quando elabora una teoria la nostra mente oscilla continuamente; prima crea immagini, poi li traduce in simboli cioè in linguaggio, ma è sempre nella fase di creazione di immagini che la teoria nasce. Alcuni esempi saranno in grado di confortare questa convinzione. Scelgo il medico che ha  inventato la psicanalisi, come dire un filosofo: Sigmund Freud. Il corpo centrale della sua teoria prevede la costituzione di due triadi: da una parte Es, Io e Super-io, dall’altra Inconscio, Preconscio e Conscio. Vi ho portato una diapositiva perché possiate osservare l’immagine che traduce in un istante quaranta pagine di appunti:

Il disegno di Freud era stilizzato e non aveva certo colori ma le relazioni spaziali e le proporzioni fra le diverse aree raffiguranti i componenti delle due triadi sono esattamente questi. L’immagine del sole e dell’Iceberg sulla linea di galleggiamento rende in modo perfetto i rapporti fra la zona di consapevolezza e il graduale passaggio nell’area del sub-cosciente e dell’inconscio; mentre lo spaccato dell’intero Iceberg ci spiega in quali rapporti di grandezza sono fra loro le parti costituenti del nostro mondo psicologico (Super-io, Io ed Es) e per quanta parte essi emergono a livello di coscienza.
  Generazioni di studenti conoscono le teorie di Freud solo grazie a questo disegno. Le forme traducono istantaneamente e in modo chiaro concetti di una grande complessità ma se ciò è possibile è perché essi sono stati pensati in forma figurativa e solo in un secondo momento sono stati tradotti nel simbolismo del linguaggio.
  Un altro esempio vi potrà rendere la misura di quanto è importante la geometria, scienza delle forme, in ogni campo del sapere. Tireremo in causa ancora un filosofo: Pitagora. Non esiste prodotto del pensiero, si tratti di sperimentazione scientifica, di indagine di mercato, di innovazione tecnologica, di previsione statistica in qualunque ambito culturale, che non si avvalga del suo celebre teorema: ‘in un triangolo retto il quadrato costruito sull’ipotenusa è pari alla somma dei quadrati costruiti sui lati’. Come dire che se due rette si allontanano fra loro di 90° partendo da un punto in comune, la loro relazione è presente all’infinito perché in qualsiasi momento e a qualunque velocità nel tempo esse si propaghino possono essere relazionate una all’altra. Pensate, signori! Senza questa formulazione non sarebbe possibile seguire il rapporto esistente fra due sistemi relazionati secondo lo schema delle ascisse e delle ordinate. Se il pensiero ha una illuminazione riguardante un qualunque rapporto di forze,ecco!,  la geometria gli viene in aiuto. Gli fornisce tutto: visibilità, regole, controllo.
  La geometria  è per così dire, nascosta nella realtà. Solo visualizzandola la mente riesce a organizzare il proprio rapporto con la realtà stessa. Forse un ultima obbiezione mi potreste fare e sarebbe certamente la più importante. Che cosa ha a che fare la geometria con la poesia? Fino a qualche anno fa io stesso avrei risposto: niente. Oggi rispondo: tutto. Pensate a Dante che scende nel cono a imbuto rovesciato con il quale egli immaginò l’inferno. Pensate a Paolo e Francesca che escono dalla schiera dei lussuriosi e si perdono fuori dallo schema dove li costringe il loro peccato, pensate alla risalita del Poeta insieme a Virgilio lungo la ‘natural burella’ dopo aver raggiunto il centro della terra ed essersi sottratti alla forza di gravità, pensate al cono positivo rappresentato dalla montagna del Purgatorio, pensate all’immagine di Dio che come una moderna particella quantica è allo stesso tempo uno e trino. La poesia non è un aggettivo o una parola, la poesia è visualizzazione fantastica e allegorica del proprio mondo emozionale. E’ una natura ricreata secondo gli schemi geometrici delle proprie emozioni e conoscenze.
   Signori credo di avervi annoiato abbastanza; saluto e ringrazio tutti per la pazienza dimostrata.